Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge contiene una riforma delle modalità di affidamento, finanziamento e svolgimento del servizio pubblico radiotelevisivo.
      La riforma si basa in tre princìpi fondamentali:

          1) affermazione del diritto individuale all'informazione;

          2) introduzione di un nuovo modello di affidamento del servizio pubblico basato sull'espletamento di procedure di evidenza pubblica;

          3) rimozione dei vincoli alla privatizzazione della RAI-Radiotelevisione italiana Spa.

      Una grave lacuna della legge n. 112 del 2004, nella parte relativa ai princìpi fondamentali e generali, è rappresentata dalla mancanza di un qualsiasi richiamo al diritto all'informazione. Ciò è particolarmente grave per una legge di sistema, soprattutto ove si consideri la copiosa giurisprudenza costituzionale degli ultimi quindici anni dedicata alla definizione di questo diritto fondamentale. Per rimediare a questa grave mancanza, l'articolo 2 della presente proposta di legge introduce, tra i princìpi fondamentali del sistema radiotelevisivo, sia «il diritto inviolabile di ciascun individuo ad una informazione rispettosa dei princìpi di obiettività, completezza, lealtà, indipendenza e imparzialità» sia «il diritto di ciascun individuo di

 

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poter essere raggiunto dal massimo numero possibile di voci». Un'ulteriore importante novità è contenuta nel comma 2, che introduce un altro innovativo principio fondamentale del sistema radiotelevisivo: «L'attività di informazione radiotelevisiva sugli eventi della vita sociale, politica e culturale soddisfa un bisogno essenziale della collettività e deve qualificarsi come servizio pubblico essenziale caratterizzato da preminente interesse generale». Con questa disposizione si è voluta superare definitivamente la concezione «soggettiva», a favore di una nozione «oggettiva» di servizio pubblico. Com'è noto, per la concezione soggettiva la pubblicità del servizio risiede nella gestione, vale a dire nella natura pubblica del soggetto cui è affidato il servizio. Per molto tempo è prevalsa nella nostra legislazione, come nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa, una concezione del servizio pubblico tale per cui lo Stato si assume in prima persona il compito di svolgere una determinata attività nell'interesse generale. L'esperienza dimostra che il prevalere di tale concezione spesso finisce per condurre ad una gestione del servizio ispirata ad una logica burocratica, pervasa dall'esigenza di perpetuazione dell'ente erogatore, piuttosto che di effettiva soddisfazione del pubblico interesse. Diversamente, per la concezione oggettiva del servizio pubblico, la pubblicità è data dalla oggettività del servizio, vale a dire dalla sua funzionalizzazione ad un interesse generale, piuttosto che dal profilo pubblico del soggetto gestore. L'attenzione si sposta così dal profilo «soggettivo» a quello «funzionale», divenendo irrilevante la natura pubblica o privata del soggetto gestore. È piuttosto il destinatario (la collettività) a conferire un carattere pubblico al servizio.
      Questo cambiamento di prospettiva nel modo di concepire il servizio pubblico, da un lato, si salda con l'affermazione del diritto individuale inviolabile all'informazione (ciò è espresso a chiare lettere dall'articolo 4, comma 1, della proposta di legge, ove si afferma che «Il servizio pubblico radiotelevisivo, da qualsiasi emittente o fornitore di contenuti esercitato, realizza l'inviolabile diritto individuale all'informazione»); dall'altro, è il presupposto logico, prima ancora che giuridico, della riforma delle modalità di affidamento e di svolgimento dei servizio pubblico generale radiotelevisivo contenuta nel capo II. Infatti, una volta adottata la concezione oggettiva del servizio pubblico, perde di qualsiasi significato il ruolo di concessionaria esclusiva in capo alla RAI-Radiotelevisione italiana Spa. Se ciò che conta è l'effettivo soddisfacimento dell'interesse pubblico alla realizzazione del diritto individuale all'informazione (oltre che degli altri obiettivi e compiti del servizio pubblico individuati dall'articolo 4 della proposta di legge), l'attenzione non può non incentrarsi sulle modalità di affidamento, finanziamento e svolgimento del servizio.
      La proposta di legge, coerentemente con queste premesse, introduce su questi aspetti una vera e propria rivoluzione. L'articolo 6 stabilisce che, successivamente al 6 maggio 2009, il servizio pubblico radiotelevisivo è affidato mediante contratto di servizio, della durata di tre anni, aggiudicato secondo procedure di evidenza pubblica. In tal modo viene superato il regime della concessione in esclusiva ad una società interamente di proprietà pubblica, governata da consigli di amministrazione di nomina partitica. L'assunto su cui si basa questa scelta risiede nella convinzione che il monopolio pubblico non sia più uno strumento idoneo ad assicurare l'indipendenza, l'obiettività e l'apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali, nel rispetto delle libertà garantite dalla Costituzione, quali princìpi fondamentali della disciplina del servizio pubblico radiotelevisivo, ma che la migliore garanzia di qualità dei servizio pubblico stia nella «trasparenza» e «imparzialità» delle procedure volte ad individuare il soggetto cui affidare il servizio. Peraltro, la constatazione dell'attuale insufficienza ed inadeguatezza del servizio pubblico radiotelevisivo trova costantemente conferma negli ultimi anni nelle numerose delibere adottate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che hanno accertato sistematiche
 

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violazioni da parte della RAI-Radiotelevisione italiana Spa dei princìpi di pluralismo e di apertura alle diverse tendenze e opinioni politiche, in numerose dichiarazioni di membri dello stesso consiglio di amministrazione della RAI, nelle tante prese di posizione e denunce da parte di associazioni di rappresentanza dei giornalisti (Usigrai), e di molti osservatori qualificati. Da notare anche come la RAI negli ultimi anni abbia segnato un sostanziale trend di perdita di ascolti (come confermato anche dalla relazione del Direttore generale Claudio Cappon presentata in occasione dell'audizione dinanzi alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi), non riuscendo pertanto neppure a competere pienamente sul mercato della televisione commerciale.
      Una volta individuato con procedure di evidenza pubblica il soggetto (pubblico o privato) affidatario del servizio pubblico generale radiotelevisivo, questi lo svolge sulla base di un corrispettivo determinato in modo da coprire i costi che prevedibilmente verranno sostenuti per adempiere gli specifici obblighi del servizio pubblico (articolo 7, comma 3). Il costo grava dunque sull'amministrazione aggiudicatrice (lo Stato o le regioni) che lo finanzia ricorrendo ai proventi derivanti dal canone di abbonamento o, in caso di necessità, a pagamenti diretti da parte del bilancio pubblico (articolo 7, comma 2). Questo sistema basato sull'affidamento mediante contratto aggiudicato con procedure di evidenza pubblica consente una verifica costante sul rapporto tra le risorse impiegate e la qualità del servizio reso alla collettività ed è destinato a mutare in profondità i rapporti tra politica e informazione. Sono noti l'ingerenza partitica nelle scelte di governo della società pubblica concessionaria del servizio, i periodici conflitti sulle nomine dei membri del consiglio d'amministrazione, sulle scelte editoriali e le ricadute fortemente negative sul piano dell'autonomia degli amministratori, dei giornalisti e dei collaboratori. Il modello del servizio pubblico inteso come «funzione pubblica» e non come «monopolio pubblico» costituisce la risposta più efficace al fenomeno della cosiddetta «lottizzazione», contrastando la pratica spartitoria del servizio pubblico da parte dei maggiori partiti presenti in Parlamento.
      Il modello dell'affidamento del servizio pubblico mediante procedure di evidenza pubblica è quello che meglio garantisce il perseguimento della funzione generale del servizio pubblico, vale a dire la realizzazione del diritto all'informazione e l'ampliamento della partecipazione pubblica e della cultura dei cittadini. Vale la pena di ricordare che tale prospettiva trova qualche eco in alcuni precedenti (sia pure nettamente minoritari) nella giurisprudenza della Corte costituzionale. In particolare il giudice delle leggi, con sentenza n. 7 del 1995, pronunciandosi sull'ammissibilità del referendum, era parso indifferente sulla natura pubblica o privata del capitale azionario della società concessionaria del servizio pubblico.
      Sempre nell'ottica della concezione oggettiva del servizio pubblico si colloca un'altra importante novità: l'articolo 8 della proposta di legge abolisce la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, di cui alla legge 14 aprile 1975, n. 103, e trasferisce le competenze di cui alla legge 22 febbraio 2000, n. 28, all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Questa scelta si basa sulla considerazione che il profilo istituzionale dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sia maggiormente coerente con le esigenze di imparzialità, obiettività e indipendenza sottese al servizio pubblico radiotelevisivo. Inoltre, avverso le determinazioni dell'Autorità in materia di par condicio diverrebbero esperibili i rimedi giurisdizionali attualmente previsti nei confronti degli atti delle Autorità indipendenti, ponendo rimedio all'attuale assenza di tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della Commissione parlamentare di vigilanza.
      L'ultima novità introdotta dalla proposta di legge, in materia di servizio pubblico radiotelevisivo, riguarda la rimozione dei vincoli al processo di privatizzazione della società RAI-Radiotelevisione italiana Spa.
 

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L'articolo 21 della legge n. 112 del 2004 imposta un processo di privatizzazione del capitale della RAI ispirato al modello della «public company», prevedendo due importanti limiti: il limite massimo del possesso dell'1 per cento delle azioni aventi diritto di voto e il divieto di patti di sindacato che superino il 2 per cento. L'articolo 9 della proposta di legge elimina questi vincoli - che paiono destituiti di fondamento una volta imboccata la strada della concezione funzionale del servizio pubblico, e che non potrebbero che allontanare eventuali investitori - aprendo così la strada a una possibile e reale privatizzazione.
 

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